SALUTI DA MONFALCONE

2006

GALLERIA D’ARTE COMUNALE – MONFALCONE 2006
Intervista a cura di Andrea Bruciati

a) Sei mai stata a Monfalcone? Come te la immagini o che impressione ne hai ricevuto.
La mia conoscenza di Monfalcone è legata ad una sequenza assortita di incursioni dovute per la maggior parte a motivi di interesse culturale. Concerti, spettacoli teatrali, mostre, conferenze. Alcune delle occasioni che mi hanno attirata a Monfalcone si sono rivelate per me significative e importanti a partire dalla prima, che riguarda delle ripetizioni collettive tenutesi a casa di un professore delle superiori, fino all’ultima, mossa dal vostro invito a confrontarmi con il suo territorio e la sua gente. L’episodio a cui sono maggiormente legata risale al 2001, quando mi recai a Monfalcone per assistere ad uno spettacolo che si teneva al Teatro Comunale. Si intitolava «Amianto mai più» ed era organizzato dall’Associazione Esposti Amianto assieme allo scrittore Massimo Carlotto e agli artisti Lella Costa, Ricky Gianco e Maurizio Camardi. Quella sera venni a conoscenza, per la prima volta, dei tremendi fatti legati all’impiego dell’amianto da parte della Fincantieri e di come la pericolosità di tale sostanza sia stata taciuta per la mera salvaguardia del profitto. La polvere di amianto, utilizzata nella coibentazione di tubature, sale macchine ed apparati motore, è la causa principale del mesotelioma, tumore ai polmoni che ha già provocato centinaia di vittime tra operai e mogli di operai del cantiere navale di Monfalcone. La cosa peggiore è che l’amianto, nonostante sia stato messo al bando, continuerà a fare vittime fino al 2020 perché il mesotelioma ha un periodo d’incubazione di 10/20 anni e spesso anche più lungo. La cosa che mi rimase più impressa di quello spettacolo fu la lettura bella e tremenda allo stesso tempo di un racconto che Massimo Carlotto ha dedicato a questo argomento, “Polvere. Amianto mai più”, in cui viene descritto, attraverso gli occhi di un bambino, il rientro a casa del padre, operaio della Fincantieri, dopo una giornata di lavoro. L’uomo si porta addosso, appiccicata alle fibre dei vestiti, sulla barba, sui capelli e sulle scarpe una strana polvere luminosa. Il bambino, affascinato da questa figura interamente incorniciata dall’alone misterioso che luccica ad ogni minimo movimento, vede suo padre come un personaggio fantastico, un supereroe dai poteri speciali. Quando Anna Marzona mi ha proposto di “pensare qualcosa” per il progetto Saluti da Monfalcone sono andata a ripescare nella memoria tutti i ricordi che conservo di questo luogo, ma l’attenzione si è fissata sul ricordo della polvere, sull’ingiusta e terribile realtà che assedia la città e i suoi abitanti, sulle parole di Carlotto e sul coraggio delle vedove che ogni giorno lottano affinché la giustizia intervenga a favore delle perdite subite. Mi sono chiesta da sola in che modo il mio lavoro potesse confrontarsi con tutto questo ma non mi sono data una risposta perché avevo bisogno di saperne di più e soprattutto volevo conoscere il posto e viverlo in qualche modo. La domenica successiva, quindi, ho preso la macchina fotografica e sono andata a Panzano. Quando sono arrivata ho scoperto, per prima cosa, che Panzano è sorto attorno al cantiere navale per ospitarne le famiglie dei dipendenti. Ho girato a lungo per le vie del paese, a partire dall’ingresso, sorvegliatissimo, dello stabilimento e soffermandomi ad osservare la famosa disposizione regolare delle strade su cui si affacciano infilate di casette tutte uguali. Mi hanno fatto un’impressione tremenda le prime case, erette a non più di 30 metri dal portone principale con la scritta FINCANTIERI a caratteri cubitali che ti si para davanti ogni volta che apri e chiudi gli scuri delle finestre… Ho notato, poi, come l’imposta omologazione del modulo bifamiliare simmetrico abbia sviluppato una creativa personalizzazione delle proprietà dando vita a facciate ogni volta diverse per colore, ringhiere, giardini. Perdendomi nel labirinto di stradine parallele pensavo continuamente alla gente di Panzano, ai parenti degli scomparsi e a quanti di loro hanno diagnosticato il mesotelioma e vivono con la paura che un giorno o l’altro potrebbero aggiungersi alla lista delle vittime dell’amianto. Questi pensieri oltre ad amplificare in me la rabbia e il disgusto per quell’aspetto dell’umanità che, come dice Carlotto, pone i valori del mercato e del profitto al di sopra di qualsiasi altra considerazione, compreso il diritto alla salute e alla vita delle persone, mi hanno paralizzata e inibito ogni tentativo di estrarre la macchina fotografica dalla borsa. Come se non bastasse, ho saputo, da un signore incontrato per strada, che tutti gli alberi che abbellivano alcune vie del paese, alberi che avevano oltre che un valore naturalistico anche un valore storico, sono stati sradicati perché impedivano e intralciavano il passaggio degli enormi camion che ogni giorno entrano ed escono dal cantiere con i materiali della produzione. E’ troppo poco dire “oltre il danno la beffa”. Troppo poco. Quel signore, così gentile, mi ha poi ospitata a casa sua. Mi ha raccontato che lui è nato a Panzano nel ’38, ha cominciato a lavorare nei cantieri da giovane e ci è rimasto fino all’età della pensione. Anche lui ha i polmoni malati. Mi ha descritto minuziosamente l’intervento di coibentazione dei tubi, di come impastava la polvere di amianto con l’acqua e poi, a mani nude, la spalmava. Ha tirato fuori i libri di Panzano per mostrarmi le foto storiche. Ci teneva moltissimo, con la dignità che ho trovato in altre persone segnate dalle ingiustizie, a farmi vedere comunque gli aspetti positivi di Panzano, le opere architettoniche, gli eventi storici che si sono susseguiti, le feste…

b) Che tipologia di progetto credi che possa essere qui verificato.
Il mio progetto per Saluti da Monfalcone è lo sviluppo di Modello spugna, a cui stavo lavorando già da qualche mese. Si tratta di una serie di abitini taglia extra small, realizzati con le spugnette da cucina, bagnati e fatti seccare in posa plastica. Si differenziano per colore e per tipologia in quanto rappresentano i modelli base dell’abbigliamento attraverso i quali, con le dovute trasformazioni, si ottengono tutti gli altri capi. Anche in questo lavoro, come nei Set di Barbie, il corpo non è presente, ma è presente solo la memoria di un corpo, atrofizzato in posture e menomazioni di volta in volta differenti.

c) In che modo ritieni che il lavoro di un artista possa confrontarsi con una comunità?
Quando si concentra su temi e problematiche in cui la comunità stessa si riconosce. Un punto di connessione è fondamentale perché avvenga il confronto, e la posizione ideale sarebbe quella in cui, trovati i punti in comune, ognuna delle due parti possa ricavarne qualcosa.

d) Consideri il punto di vista al femminile differente da uno sguardo maschile o reputi che siano altre le coordinate e gli approcci critici da prendere in considerazione?
Mi sembra riduttivo dividere i modi di vedere le cose in solo due categorie, quella maschile e quella femminile. Preferisco pensare che esistono differenti punti di vista, basati sulla cultura, le conoscenze e la sensibilità che ognuno ha, e questi valori vanno al di là delle differenze di genere.

e) Quali sono le necessità che presiedono la tua ricerca.
Nel caso specifico di Modello spugna, necessità di avere un modello. Necessità di pulizia. Necessità di chiarezza. Necessità di sincerità. Necessità di levare la polvere. Necessità del naturale al 100%. Necessità di non dimenticare. Necessità di colmare le lacune. Necessità di conoscere. Necessità di conoscermi. Necessità di assorbire ed essere assorbita. Necessità di essere resistente anche dopo numerosi lavaggi. Necessità di vuoto. Necessità di non aridità. Necessità di non clonazione. Necessità di sentire il mio corpo. Necessità di far funzionare il mio corpo fino a quando lo vuole lui, e non qualcun altro. Necessità di dare un colpo di spugna e rifare tutto daccapo.

Intervista di Andrea Bruciati ad Anna Pontel