IN CON TRA

2019

PALINSESTI / SAN VITO AL TAGLIAMENTO (UD)

Qual è il soggetto del ritratto? Nessun altro se non il soggetto stesso, assolutamente. Dov’è che il soggetto stesso può trovare la sua verità e la sua realtà effettiva? Da nessun’altra parte se non nel ritratto. Non c’è dunque soggetto che in pittura, così come non c’è pittura che del soggetto. Nella pittura il soggetto se ne va a fondo (e “torna a sé”); nel soggetto, la pittura fa da superficie (ma eccedendo così la semplice facciata). Sorge allora d’un tratto, né soggetto né oggetto, l’arte o il mondo.
Jean Luc Nancy, Il ritratto e il suo sguardo, 2000

Nella sua ricerca artistica Anna Pontel affianca alla realizzazione di installazioni ed opere visuali, interventi di tipo performativo. Queste occasioni costituiscono, per sé e per il pubblico, uno spazio di pensiero e di prossimità al contempo. A Palinsesti l’artista (ri)propone la performance In con tra ricontestualizzata in diretta connessione con la mostra collettiva Tu che mi guardi. Come si allude nel titolo – gioco di preposizioni e rimandi etimologici – nel corso dell’azione artistica Pontel letteralmente incontra il pubblico per un’atipica sessione di ritratto.
I soggetti da effigiare sono individuati in maniera del tutto casuale, tra i visitatori convenuti.
L’artista li convoca con un semplice cenno, invitandoli a prendere posto nella sedia collocata dirimpetto a lei, vis-à-vis, secondo le tradizionali dinamiche della ritrattistica. Durante tutta l’esecuzione del ritratto, però, Pontel non stacca mai lo sguardo dal suo soggetto. Grazie a questo contatto oculare intenso e continuato, l’artista instaura una comunicazione tanto silente quanto intima con la persona che ha di fronte. Il ritratto è la testimonianza di questa conoscenza estemporanea. Il flusso emozionale che si genera in questo setting creativo, nel fronteggiarsi per il tramite dello sguardo, guida la mano dell’artista nel tracciare – in maniera automatica – un profilo sul foglio. Come in uno strano pantografo, l’occhio e la mano dell’artista sono interconnessi. La mano registra ciò che l’occhio vede. Non c’è operazione intellettuale che media tra il percetto fenomenico e la restituzione su carta.
Ad ogni performance, il numero dei ritratti varia. Come varia la durata di questo tête-à-tête cre-attivo, implicando un certo, voluto, grado di casualità. Non sono prevedibili neanche le reazioni dei soggetti ritratti. Rideranno? Parleranno? Sfuggiranno lo sguardo? Queste reazioni dell’altro entreranno in dinamica con l’artista, concorrendo all’esito grafico, che diviene sismografia dell’incontro nel suo farsi. Nulla è, invece, lasciato al caso nella predisposizione – decisamente sartoriale – dello spazio in cui l’azione ha luogo. L’artista a sua volta indossa un grembiale realizzato per l’occasione, richiamo non solo all’artigianalità del suo agire, ma soprattutto allusione a quelle figure di accudimento (la madre, l’infermiera…) che in ‘camice da lavoro’ osservano, spesso silenti, vigili o amorevoli.
La parola ‘ritratto’ viene dalla latino retrahĕre, che significa tra l’altro anche ‘trattenere’. È così restituita la valenza di questa pratica mediante cui qualcosa viene fissato, «tratto per tratto» (1). Questo qualcosa è generalmente il referente reale della rappresentazione, imitato o interpretato. Se nella modalità di realizzazione ripropone il modus operandi più tipico del genere ritrattistico, l’azione di Pontel approda ad un risultato de-rappresentativo. La prima cosa a venir – insieme al venire meno dei continui spostamenti/aggiustamenti oculari dal soggetto osservato alla superficie del foglio – è la mimesis. Lo sguardo quindi non padroneggia la realtà, non la ordina e il paradigma della visione viene meno. Una messa in scacco dello sguardo la ritroviamo anche nell’opera Specchio cangiante (2016), dove la superficie riflettente, opportunamente frammentata dall’artista, ci espone ad una moltiplicazione di punti di vista, «362 almeno».
Anche l’esperienza della relazione con l’altro è posta spesso al centro dell’opera di Anna Pontel.
Nell’azione-installazione Con-tatto (2015), ad esempio, l’artista interagiva con il pubblico tramite una stretta di mano, che avveniva ‘con tatto’ grazie ad un paio di guanti lavorati a maglie grosse, che la separavano dall’altro ed al contempo sottolineavano parossisticamente il gesto dell’accostarsi in chiave sensoriale.
La performance In con tra può essere letta come una sottolineatura garbata della sovversione di un paradigma – fallocentrico? – della rappresentazione, che ha visto storicamente la donna
oggetto nel ritratto di uno sguardo maschile che l’addomestica, «immagine-spettacolo» (2) piuttosto che soggetto, «immobilizzata», entro uno spazio domestico, partecipando «al quadro come oggetto passivo», cosa fra le cose, riflettendo dunque il suo ruolo nel contesto storico-sociale (3). Nell’azione performativa Anna Pontel non si pone solo nel/al posto del ritrattista, facendosi soggetto della rappresentazione, in uno scambio speculare di ruoli, per un contro-discorso. Parafrasando Luce Irigaray, nel vestire i panni del(la) ritrattista, Anna Pontel si inserisce nel discorso performando la differenza (différence) (4): ovvero ponendosi come soggetto enunciante ma in modo critico e rendendone consapevole il pubblico spettatore.

Note
1) E. Pommier, Il ritratto: storia e teorie dal Rinascimento all’età dei lumi, Einaudi, Torino 2003, pp. 6-7
2) cfr. T. de Lauretis, Alice Doesn’t: Feminism, Semiotic, Cinema, Indiana University Press, Bloomington 1984, p. 37
3) cfr. L.R. Robinson, Sex, Class and Culture, Muthuen, London 1978, p. 41
4) cfr. L. Irigaray, Questo sesso che non è un sesso, Feltrinelli, Milano 1990, p. 65

Giada Centazzo